
INTERVISTA CON Kate Raworth
(Autrice del libro ‘L’economia della ciambella. Sette mosse per pensare come un economista del XXI secolo’)
“SARÀ LA ‘CIAMBELLA’ LA NOSTRA BUSSOLA PER IL 21° SECOLO”
Premessa
Quando per la prima volta ci si imbatte nell’espressione “Economia della ciambella”, la nostra deduzione è che: a) o ci troviamo di fronte ad uno scherzo; b) o di fronte ad un modello per gestire meglio l’acquisto e la fornitura di cibo. Non è così! Il modello economico della ciambella (la Doughnut economy) proposto dalla famosa economista di Oxford, Kate Raworth, è un qualcosa di molto più profondo, un approccio al tempo stesso filosofico e pragmatico, sulla questione dell'economia sostenibile. Pensare che ci siano due linee, due limiti, due confini, oltrepassati i quali possono scatenarsi una serie di conseguenze negative per lo sviluppo umano, è di estrema utilità e praticità per i cittadini, gli accademici, le imprese e le istituzioni di tutto il mondo. Kate Raworth, nel suo libro L’economia della “ciambella”, sette mosse per pensare come un economista del XXI secolo, spiega in modo chiaro e scientifico le basi per lo sviluppo sostenibile.
In questa intervista (Fonte: rivista Materiale Innovativo), Kate Raworth ha risposto ad alcune importanti domande sulla Doughnut Economy.
Kate Raworth: Ricercatore Associato presso lo Environmental Change Institute della Oxford University (dove insegna per il Master in Environmental Change and Management), Kate Raworth è una pensatrice assolutamente razionale. Autrice di uno dei più importanti libri di questo secolo, L’economia della ciambella. Sette mosse per pensare come un economista del XXI secolo, Kate Raworth per oltre vent’anni si è occupata di definire un metodo per decostruire l’economia neoclassica, lavorando con l’Ong Oxfam, compiendo ricerche sulla diseguaglianza, e collaborando alla stesura dello Human Development Report per l’Undp. E la ciambella è diventata l’icona di un nuovo paradigma economico.
https://www.kateraworth.com/
Questo documento riporta parte dell’intevista realizzata da Emanuele Bompan per la rivista ‘Renewable Matter’ in Agosto 2017
Ringraziamenti
Si ringrazia Marco Moro - Editor-in-chief ‘Edizioni Ambiente’ per aver condiviso con noi questa importante intervista.
Oggetto: Economia della ciambella
Highlight
- Dobbiamo imparare a vivere entro i limiti del pianeta: gli economisti del secolo scorso non sapevano riconoscere il sistema planetario dal quale dipendiamo. Per raggiungere l’obiettivo abbiamo bisogno semplicemente di un’economia adeguata.
- Ci sono tre criteri fondamentali che danno forma a un’impresa: lo scopo, la proprietà e il finanziamento. E sono aspetti spesso strettamente interconnessi. Nel XX secolo lo scopo delle imprese era di massimizzare i ritorni degli azionisti e il profitto.
- Lo scopo del governo è di creare un’economia che sia rigenerativa per principio, segua il ritmo del mondo vivente e sia distributiva, così che il valore creato sia condiviso. La principale, assoluta, priorità è trasformare il sistema energetico passando dai combustibili fossili alle energie rinnovabili.
- Il XXI secolo sarà governato da unità di misura naturali e sociali.
- L’industria del XX secolo era basata su una progettazione lineare degenerativa… Un sistema ‘estrai, trasforma, usa, butta via’. Noi dobbiamo piegare questa economia lineare, così che invece di utilizzare nuove risorse possiamo continuare a riutilizzarle.
- C’è molta attenzione in tutto il mondo. A Stoccolma l’amministrazione pubblica sta creando un nuovo quartiere che sarà chiamato Doughnut District, il Distretto della Ciambella.
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Domanda 1: Come ha pensato di usare la ciambella per rappresentare un nuovo modello di equilibrio su scala globale?
Può sembrare assurdo, ma quando studiavo una rappresentazione grafica del benessere umano e della situazione del XXI secolo è emerso un disegno che somigliava a una ciambella. Nel buco della ciambella sono rappresentate le carenze nelle fondamenta sociali: cibo, sanità, acqua, istruzione e alloggi. Chi non sta nel buco della ciambella riesce a vivere una vita dignitosa, con diritti garantiti e opportunità da cogliere. E allo stesso tempo non possiamo oltrepassare il limite esterno della ciambella, poiché significherebbe che esercitiamo una pressione così forte sul pianeta al punto da superarne i limiti (come spiegato da Johan Rockström, nda). Provocando così i cambiamenti climatici, l’acidificazione degli oceani, e minacciando lo stesso sistema vivente che ci sostenta.
Quindi, l’obiettivo del XXI secolo è di portare tutti all’interno della ciambella. Oggi siamo oltre i limiti in entrambe le direzioni (sociale ed ecologica) e dobbiamo imparare a vivere entro i limiti del pianeta: gli economisti del secolo scorso non sapevano riconoscere il sistema planetario dal quale dipendiamo. Per raggiungere l’obiettivo abbiamo bisogno semplicemente di un’economia adeguata.
Domanda 2: È tempo di decostruire il modello economico neoclassico e quello neoliberista?
Gli economisti che ci dicono ‘chi siamo’ hanno un’enorme responsabilità. Perché questo plasma ciò che diventiamo. Non dobbiamo solamente ripensare la storia di ciò che l’economia è. Nell’economia neoclassica mainstream, se chiedo a un professore ‘mi mostri la più grande immagine dell’economia che possiede’, probabilmente mi mostrerebbe il diagramma di flusso circolare, realizzato 70 anni fa da Paul Samuelson (il suo libro Economics: An Introductory Analysis, pubblicato per la prima volta nel 1948, uno dei più grandi classici, ha influenzato gran parte degli studenti di macro-economia del mondo, nda). Eppure questa immagine riporta solo ciò che è monetizzato, solo i flussi, senza il minimo riferimento al mondo vivente. Non si parla di materiali e rifiuti, né dei beni comuni, dei luoghi in cui la gente vive.
Abbiamo fatto funzionare la nostra economia mediante una storia piena di omissioni e silenzi riguardo ad alcuni dei principali problemi attuali. Dobbiamo ridisegnare il diagramma e scrivere nuove storie che ci diano un’immagine di quel mondo che davvero vogliamo creare e un modello di noi stessi che sia fedele a tutte le reali possibilità della natura umana.
Domanda 3: Le imprese hanno sempre seguito la regola del profitto. Che aspetto avranno le imprese del XXI secolo?
Le imprese secondo il vecchio modello…
Ci sono tre criteri fondamentali che danno forma a un’impresa: lo scopo, la proprietà e il finanziamento. E sono aspetti spesso strettamente interconnessi. Nel XX secolo lo scopo delle imprese era di massimizzare i ritorni degli azionisti e il profitto. ‘Il business del business è il business’ era il mantra. La proprietà era detenuta dagli azionisti, che non avevano mai messo un piede nell’attività e la finanza era gestita attraverso mercati distanti e sempre alla ricerca di tassi di ritorno più alti. Le persone vedevano solo diagrammi di flusso, non incontravano mai i lavoratori, forse nemmeno conoscevano davvero i prodotti. Questo ha contribuito a portarci dove siamo ora, mettendo da parte l’ambiente e le comunità, chiamandole ‘esternalità’. Quando definisci qualcuno o qualcosa come un’esternalità, hai già detto quanto poco lo consideri importante.
…vs le imprese nell’economia della ciambella
Abbiamo bisogno di un business con uno scopo esistenziale: perseguire il perpetuarsi della vita, rigenerando l’ambiente. La proprietà deve essere radicata, forse tra i dipendenti o tra gli azionisti che si prendono un impegno a lungo termine nel perseguire lo scopo dell’azienda. La finanza deve dedicarsi non solo al ‘ritorno sugli investimenti’, ma anche al valore sociale e ambientale che le imprese puntano a creare. Quindi la domanda che sta al cuore del business del XXI secolo è: quanti benefici possono essere accorpati, così da poterne distribuire una parte. È una questione di generosità: ‘in che modo posso utilizzare la mia azienda per contribuire ad affrontare un problema sociale o ambientale?
Domanda 4: I modelli neoclassici sono stati utilizzati dagli stati per definire la loro economia politica. Come può uno stato trasformare i suoi modelli di sviluppo e di misurazione?
Restiamo sul semplice: lo scopo del governo è di creare un’economia che sia rigenerativa per principio, segua il ritmo del mondo vivente e sia distributiva, così che il valore creato sia condiviso.
La principale, assoluta, priorità è trasformare il sistema energetico passando dai combustibili fossili alle energie rinnovabili. Ciò ridurrebbe i costi dell’energia, creerebbe impiego, innovazione e un sistema energetico distributivo. Poi questo cambierebbe l’intera base di tassazione, ponendo fine alla tassazione di chi utilizza la forza lavoro, senza penalizzare le aziende perché assumono personale, ma tassando l’uso delle risorse e l’utilizzo di materiali vergini. Ciò sarebbe un forte incentivo per il business, per l’occupazione; inoltre le imprese sarebbero più efficienti nell’utilizzo delle risorse. Bisogna incoraggiare la creazione di società in proprietà dei dipendenti, di cooperative, incentivare i nuclei domestici a installare pannelli solari sui loro tetti, incoraggiare l’uso dei creative commons. Ci servono metriche per calcolare il potenziale rigenerativo, tagliando le emissioni di carbonio e per mostrare che il valore è ridistribuito trai cittadini. Credo che questo richieda fondamentalmente di trasformare la finanza, che ci ha portati in un processo degenerativo.
Domanda 5: Che tipo di metriche economiche sono necessarie per l’economia della ciambella?
Il XXI secolo sarà governato da unità di misura naturali e sociali. Ora tutti comprendiamo l’impronta idrica, parliamo d’impronta di carbonio. Vent’anni fa nessuno avrebbe capito di cosa stiamo parlando, ma oggi stiamo promuovendo metriche naturali e sociali. Per coloro che creano le nuove metriche è un compito eccitante scoprire nuovi Kpi (Key Performance Indicator) e sistemi per gestire i big data nazionali. Dobbiamo valutare se l’economia è rigenerativa per principio, quindi ci serve un’unità di misura che mostri fino a che punto un business è parte dell’economia circolare e se è distributivo. Penso che più ci concentriamo su questo e più vediamo le fonti reali del benessere. Ci renderemo conto allora che il pil, che rappresenta principalmente il valore di beni e servizi venduti in un anno, potrebbe crescere o a volte diminuire in risposta ai cambiamenti nell’economia rigenerativa e distributiva, ma non sarà mai più la più importante – e unica – unità di misura.
Domanda 6: Il PIL non misura la diseguaglianza, che è aumentata ovunque dall’inizio del secolo. Pensa che la distribuzione della ricchezza debba diventare un aspetto politico fondamentale?
L’interazione tra come distribuiamo la ricchezza e come creiamo un’economia rigenerativa presuppone compromessi e tensioni ma anche vantaggi collaterali che devono essere esplorati. Credo che sia essenziale ridistribuire il reddito in modo che le persone che non possono permettersi un’abitazione, cibo, sanità, abbiano accesso a queste cose; dobbiamo assicurare che i modelli di business creino catene di rifornimento circolari. La domanda che mi pone è complessa e non ha una risposta semplice. Questo è proprio quello su cui gli economisti del XXI secolo dovrebbero concentrare la loro attenzione, per cercare le sinergie che potenzialmente esistono tra la redistribuzione della ricchezza e la creazione di un’economia rigenerativa.
Domanda 7: Secondo lei come dovrebbe essere un’economia davvero circolare?
L’industria del XX secolo era basata su una progettazione lineare degenerativa. Grazie alla quale prendevamo i materiali della terra, li trasformavamo in quello che volevamo, li usavamo per un po’ e poi li buttavamo via. Un sistema ‘estrai, trasforma, usa, butta via’. Noi dobbiamo piegare questa economia lineare, così che invece di utilizzare nuove risorse possiamo continuare a riutilizzarle. In due cicli distinti, uno per i materiali biologici, che si rigenerano naturalmente – questo è il lavoro della Terra – e uno analogo per i materiali tecnici, come plastica, metalli e materiali. Dobbiamo ripristinarli, ripararli, riutilizzarli e solo alla fine riciclarli. Questa è l’essenza di un’economia circolare, e perché funzioni davvero come un ecosistema all’interno di un’economia deve essere basata su fonti libere e materiali liberi. In questo modo essa non cerca di rimanere nei limiti di un’azienda ma diventa un sistema su scala industriale così che molte aziende vengano coinvolte contemporaneamente.
Domanda 8: Chi adotterà il modello della ciambella?
C’è molta attenzione in tutto il mondo. A Stoccolma l’amministrazione pubblica sta creando un nuovo quartiere che sarà chiamato Doughnut District, il Distretto della Ciambella. Alcune aziende hanno spontaneamente appoggiato il modello. Sono stati colpiti dalla forza dell’immagine.
Domanda 9: Ma per sovvertire convinzioni fortemente radicate, probabilmente serve una nuova scuola economica, come fecero i Chicago Boys negli anni Settanta.
Oggi il modello della ciambella è utilizzato negli studi di economia dello sviluppo, in geografia, architettura e scienze politiche. Gli unici che stanno opponendo resistenza sono gli economisti.
Se i dipartimenti di economia continuano a utilizzare modelli che tutte le altre discipline già riconoscono come obsoleti – perché abbiamo visto cos’è successo nella crisi finanziaria – o si rendono irrilevanti con i loro modelli o fanno il salto verso una nuova visione. Dobbiamo creare un ponte tra i nuovi economisti e quelli mainstream. Io sto cercando di farlo al Cambridge Institute for Sustainability Leadership rivolto a tutti i dirigenti delle aziende leader nel mondo. Tuttavia cambiare il mondo degli economisti è una strada lunga e tortuosa.
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